C’è una crisi globale che non accenna a placarsi: la crisi dei rifugiati. La Convenzione di Ginevra nell’articolo A1 del 1951 coniò il termine rifugiato per definire colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Una presa di coscienza di cui si è fatta carico l’ Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), che da settant’anni porta avanti le istanze di queste persone costrette a ridefinire il loro concetto di libertà allontanandosi da quelle terre da cui ottenevano solo disgrazie e crudeltà. Proteggere le minoranze in fuga è un dovere morale, agire in loro supporto è un simbolo di speranza da inserire nella casella delle priorità. Sempre.
Salvare vite vuol dire anche dare la possibilità di giocare a chi non può, di praticare lo sport e di poter rappresentare qualcosa di concreto agli occhi del mondo. Una condizione riconosciuta grazie all’accoglienza Olimpica che dal 2015 ha concesso ai rifugiati di trasformarsi in una vera e propria nazione rappresentata da diversi atleti accolti dai vari Paesi legati all’UNHCR in grado di dar loro l’opportunità di coltivare il proprio talento. A poche settimane dall’inizio delle Olimpiadi di Parigi 2024 la Squadra Olimpica dei rifugiati del CIO (comitato Olimpico Internazionale) si appresta a partecipare per la terza volta al più grande evento sportivo del mondo, ed è una vittoria anticipata. Un traguardo tutt’altro che scontato in questi tempi bui dominati da guerre sempre più intense, in cui le frizioni internazionali vanno di pari passo con l’aumento delle disuguaglianze e delle restrizioni dei diritti.
Tra i 36 rappresentanti della Squadra Olimpica dei Rifugiati del CIO sono presenti due atleti residenti in Italia, Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour. Il primo è un atleta di lotta libera entrato nel gruppo nel 2022, il secondo invece è un atleta di taekwondo, dal 2023 entrato nel progetto. Entrambi sono di origine iraniane, terra che non ha permesso loro di coltivare un sogno semplice fino in fondo. Due lottatori nel vero senso della parola, nella vita come nello sport.
Iman Mahdavi lascia la sua terra nel 2020 a piedi, raggiungendo a fatica i confini della Turchia. Da lì un solo volo diretto verso l’Italia e verso una nuova vita, con la morte nel cuore per aver lasciato la famiglia laggiù, in un luogo incapace di accettare il diritto di esprimersi a modo proprio. Una decisione presa dopo la condanna a morte di un altro lottatore, Navid Afkhari. Impossibile resistere a quell’odore di morte. Giunto in Italia senza nulla, nemmeno i documenti, ma con un cuore da riempire grazie anche all’accoglienza di Pioltello e dell’associazione sportiva Lotta Club Seggiano, Iman rinasce. Una rinascita lenta e costante, oltre la diffidenza e la paura c’era un traguardo da raggiungere: Parigi 2024.
Hadi Tiranvalipour ha 26 anni ed il suo curriculum vanta già diversi premi, uno su tutti l’oro conquistato ai campionati asiatici di Taekwondo. Un percorso che gli ha permesso di diventare un volto noto delle tv iraniane parlando di motivazione e sport. Temi non accettati dalla repubblica islamica perché sensibili alla condizione delle donne iraniane. Motivato anche dalla consapevolezza di non voler svolgere il servizio di leva obbligatoria, Hadi decide di andare via, arriva in Turchia e poi chiede sostegno e rifugio all’Italia che lo accoglie con l’obiettivo di valorizzarlo per poi inserirlo nella squadra dei rifugiati. Gli allenamenti tenuti al Centro di preparazione Olimpica Giulio Onesti del CONI portano buoni frutti: Hadi partirà per Parigi.
Due storie coraggiose che viaggiano insieme oltre i muri della sofferenza e che si riabbracciano qui, in quest’Italia che quando vuole sa essere una terra di approdo e di speranza per chi ha trovato nello sport una risorsa di vita impossibile da non praticare.
Damiano Cancedda