Forse non tutti sanno che Andrea Lucky Lucchetta, capitano della Nazionale di pallavolo per la prima volta campione del mondo nel 1990, ha iniziato a giocare nelle Pgs.
“Esatto. All’Astori Mogliano, dove frequentavo il biennio della scuola professionale. A 15 anni cominciai a giocare nella squadra di pallavolo, oltre a praticare tennis e altri sport individuali. Cominciai lì a capire il senso di essere squadra, fare gruppo”.
Il rapporto con i Salesiani?
“Folgorato, letteralmente. Avevo un professore di inglese, che nonostante la giovane età era stato missionario in vari angoli del mondo: Don Luigi Bonora. Lui insieme a Don Ermes Birri ci portavano per i ritiri spirituali all’isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia. Mi affascinava il loro sorriso, la loro capacità di dialogare con i ragazzi, riuscendo ad essere profondi, ma con leggerezza. Poco tempo fa sono stato all’Astori e l’incontro con Don Luigi è stato elettrizzante: è uno splendido 82enne che trasmette sempre lo spirito di Don Bosco”.
Cosa ti è rimasto di salesiano nella vita?
“Tanto. In tutto quello che faccio c’è un po’ lo spirito di Don Bosco. Ho imparato a mettermi a servizio di tutti. A posporre i miei interessi a quelli del gruppo. Un ottimo salesiano sa sussurrare e non urlare, sa stimolare attraverso lo sport questi tipi di percorsi, che ti danno la possibilità di diventare soggetto attivo della comunità”.
La figura di Don Bosco resta attuale.
“Fortissimamente sì. Don Bosco lavorava con i Salesiani completamente al di fuori degli schemi. Sapeva essere saltimbanco con i ragazzi, trovare sempre la lunghezza d’onda con la quale parlare a loro. Io non sono un santo, commetto tanti errori, ma Don Bosco rimane uno dei riferimenti fondamentali della mia vita”.
Caro ragazzo dell’Astori, di sogni hai potuto realizzarne tanti nello sport: tirane fuori uno dal cassetto.
“Creare un cartone animato, da presentare a Papa Francesco, in cui la spiritualità di un gesto tecnico vada a incontrare quella dello spirito di squadra, che anima e rianima le nuove generazioni. Col gioco e il divertimento si può sorridere alle difficoltà che la vita ti mette davanti”.
Interessante, entra più nei particolari.
“Il pensiero di Don Bosco può essere anche quello della Spike philosophy, tutti insieme possiamo schiacciare. Dietro la schiacciata c’è la spiritualità di un gesto tecnico. Spiritualità che riesce a santificare ore e ore di devozione, rispettando i sacramenti e soprattutto quelle linee che vengono date”.
Come si coniuga un concetto del genere per piccoli, preadolescenti e adolescenti?
“I bambini hanno necessità di essere sorridenti, solari. Hanno bisogno di divertirsi, questi tipi di percorsi devono essere declinati attraverso un linguaggio semplice, fruibile. Bisogna stimolare il loro spirito di gruppo, a partire dalla propria classe a scuola, dall’oratorio, alla società sportiva che deve rispettare la loro creatività e il loro modo di entrare nel nostro mondo.
Sono loro che devono dettare le regole su cui costruire una nuova spiritualità liturgica. Perché la liturgia della parola è un qualcosa che distacca dalla capacità che ha la parola stessa, se viene associata a un suono. Ti dà la possibilità, con la sinfonia dei cuori che battono, di esaltare la capacità sinergica che si va a creare all’interno di un gruppo, dove qualsiasi tipo di animatore deve cercare di arrivare realmente allo spirito di quel bambino, con parole semplici e profonde.
Con un esempio etico, da seguire sulla base di valori. Una testimonianza che lo aiuti a far sì che il sorriso di quei bambini entri dentro e gli dia la forza spirituale di essere considerato per loro un semplice, uno che sa esaltare l’appartenenza a un gruppo, senza un tornaconto immediato. L’oratorio salesiano dà una risposta spirituale e culturale molto più elevata. Nello sport come nella vita”..
Tu hai già sviluppato questi concetti educativi in una serie di cartoni animati che hanno ricevuto anche due riconoscimenti del Moige.
“Sì, attraverso Spike-team (trasmesso su Rai Gulp e Raidue), introduco tanti temi che sono importanti. La capacità di Lucky – l’allenatore – nell’essere un missionario laico, che ha necessità di trasferire un linguaggio spirituale, per accendere la squadra. Ai tempi degli dei esisteva il dono della fiamma eterea. La leggenda narra che erano le sei vestali a tener viva la fiamma, donata dalla dea Olimpia, che ha fatto trasformare il gesto per uccidere, per offendere, in gesto per contendere. E così nascono le Olimpiadi. I premi del Movimento dei genitori in difesa dei bambini sono per me delle medaglie di cui vado orgoglioso”.
Dai cartoni parte dunque un progetto educativo.
“Sì, perché queste vestali posseggono delle virtù latenti. Nel tempio dello sport le vestali rappresentano: forza, coraggio, lealtà, equilibrio, sacrificio, tenacia. L’umiltà viene messa dal sacerdote che è lì per servire, per trasferire i valori. Queste ragazze nel loro modo di mettere la mano una sull’altra creano un contatto. Quel contatto simile a quando hai le mani giunte: quando tu le unisci e le metti vicino al cuore per pregare. Di fatto chiudi un circuito, in cui alla fine sei te stesso con la tua spiritualità. Il gesto di scambiare un segno di pace, esiste nella pallavolo. Io ti do la mano per una comunione di intenti. La pallavolo esalta la spiritualità di gruppo, col gesto tecnico. Io unisco le mie mani per creare un bagher, poi però quel bagher si spossessa del pallone, che entra in dieci dita che palleggiano e devono essere capaci di spingere la sfera, ma la mia capacità è tutta nello spossessarmi del pallone per il mio compagno”.
Un progetto in divenire.
“Certo. Come l’inserimento del sit-in volley con persone che dalla nascita o per un incidente hanno perso delle capacità, sviluppandone altre. E da loro ho da imparare per la forza che hanno di affrontare i percorsi complicati della vita. Nella terza serie del cartone Lucky, l’allenatore, riesce a parlare con la lingua dei segni con un libero olandese sordo, che gioca con un apparecchio particolare. Nella sua disabilità silente, il libero ha maturato la capacità di leggere in anticipo non solo il labiale, ma anche i movimenti del corpo dell’avversario e quindi anticipa il posizionamento in difesa”.
Lucky esci dal cartone e torna per un attimo Andrea: una emozione grande vissuta recentemente.
“Ho la fortuna di viverne tante. Ma una in particolare voglio raccontartela. Prima dell’Olimpiade di Rio, andai con una troupe Rai a realizzare delle clip video. Entrare in una favela non è facile: lo abbiamo fatto attraverso il gioco, lo sport. Con strumenti anche presi per strada. Un’esperienza profonda: perché con i gesti dello sport parli lo stesso linguaggio, anche se lingue diverse. Poi capitò che mesi dopo, all’inizio dell’Olimpiade, prepararono una grande festa sulla terrazza di Casa Italia, coinvolgendo anche ragazzini delle favelas vicine.
C’erano le massime autorità italiane, il presidente del Coni e tanti altri. Entrando venni subito travolto da un gruppetto di ragazzini carioca invitati: erano gli stessi con cui avevo giocato nella favela e ora mi abbracciavano tutti per dimostrarmi amicizia e confidenza. Una emozione fortissima, unita anche a un pizzico di imbarazzo perché quella caciara aveva rovinato il protocollo ufficiale della inaugurazione. In quei momenti alzi gli occhi al cielo e ringrazi il buon Dio che mi ha fatto conoscere figli di Don Bosco dello spessore di Don Ermes e Don Luigi”.
Maurizio Nicita