La bicicletta di Gino, ad un certo punto della sua carriera, si chiamava Santamaria. Dal cognome dell’artigiano meccanico che la aveva costruita. Ma così forte era il pregiudizio che sulle colonne dell’Unita’, organo di stampa del partito comunista italiano, apparvero lazzi e frizzi: eccolo, il Bartali baciapile che scomoda la Madonna persino per le sue pedalate!
Andò a finire che Palmiro Togliatti, potentissimo segretario del PCI, ma anche gran tifoso di Bartali!, “scomunicò” i suoi giornalisti: piantatela di fare sarcasmo su un campione che ha il coraggio di non nascondere la sua fede. Così decretò il Migliore, come lo appellavano i compagni. E meno male. Gino Bartali è stato un grande italiano del Novecento. Usò la sua popolarità per salvare centinaia di ebrei italiani dai lager nazisti. Era un membro della Azione Cattolica e fu sempre detestato dai fascisti perché non si sottometteva alle pretese del regime mussoliniano.
Cristiano devoto, Bartali non fece mai mercimonio della sua religiosità. Papa Giovanni XXIII gli chiese lezioni per pedalare meglio nei Giardini Vaticani. Risposta: volentieri, ma Lei si ricordi di pregare per me.
Ancora oggi Gino, spentosi nel 2000, è l’unico ciclista capace di rivincere il Tour de France a dieci anni dal primo successo (1938-1948). Ha fatto meglio di Merckx, di Hinault, di Anquetil, di Indurain, persino del suo amico e rivale Coppi.
Non era, Bartali, un cattolico per caso. Era tale per convinzione, intima e profonda.
Leo Turrini