Benedetta Pilato, la felicità di un podio sfiorato

Chi l’ha detto che non si può essere felici per un quarto posto alle Olimpiadi? Qualcuno l’ha detto, ma la realtà è che invece si, si può essere felici anche per un podio sfiorato, perso per un centesimo. Felice era il viso di Benedetta Pilato, nuotatrice, felici erano le sue parole ai microfoni Rai. Martedì 30 Luglio la gara dei 100 metri rana emetteva le sue sentenze e lei, uscita dal podio per un soffio, ha dichiarato semplicemente di vivere un sogno, il giorno “più bello della sua vita”. Non ha espresso rammarico, nemmeno rancore, solo gratitudine. Verso sé stessa, i suoi sforzi e quelli di chi l’ha aiutata a fare un balzo in avanti nell’ultimo anno, così lungo da raggiungere i Giochi Olimpici, viverli da protagonista e toccare il cielo con una bracciata. Gioire è un talento. E non è un gioire casuale, è un gioire anche degli insuccessi.
Perché arrivare alle Olimpiadi è tutto fuorché un insuccesso e gioire è un talento che innalza i valori dello Sport.

Ma c’è chi crede che la felicità sia solo il culmine di una grossa soddisfazione, di un’impresa, che non può manifestarsi a seguito di una sconfitta o di un podio mancato, se non mista ad una delusione capace di smorzare tutta la reale consistenza della vera felicità. La realtà è che esiste un’alternativa. Credere in sé stessi è anche questo: immaginare la serenità anche se il contesto non sembra permettercelo. E in fondo Benedetta Pilato ha deciso di credere semplicemente in sé stessa, lasciandosi guidare dalle emozioni che ha saputo modellare col tempo, dopo lunghi periodi di dubbi, difficoltà e terapia.

Benedetta Pilato, diciannovenne che di pressioni ne ha sopportate per vincere Mondiali ed Europei da minorenne, ha avuto solo il difetto di essere di nuovo felice per l’opportunità di potersi godere i Giochi Olimpici, del rivedersi sana e consapevole nello spirito delle competizioni di questo livello. Del non figurarsi come una costretta a vincere per sentirsi in pace con sé stessa, perché in fondo non deve nulla a nessuno. Rappresentare una nazione non vuol dire dover qualcosa agli spettatori. E se qualcosa va storto non è mai davvero storto se avviene in un contesto creato per innalzare i valori dello sport nella vittoria e nella sconfitta.

Forse Benedetta Pilato è solo una persona che ha già capito che non lasciarsi travolgere dalle critiche è l’unica strada, o corsia, da percorrere. E lo ha capito, forse, nei momenti di difficoltà di una giovane ragazza considerata baby fenomeno da una stampa che troppo spesso innalza e poi castiga un atleta colpevole solo di essere capace ma ancora troppo emotiva per domare un talento esplosivo. A 14 anni batteva il record di precocità di Federica Pellegrini nel debutto in un campionato mondiale, imponendosi come prodigio nazionale.
Nelle precedenti Olimpiadi di Tokyo, venne squalificata per una gambata irregolare. Non ci furono sorrisi, qualcuno si aspettava da lei solo faville. Da lì in poi un periodo di fanciullezza perduta seguito da un lento recupero, di un riconoscimento di sé capace di generare quello che c’è adesso: una gioia grande. Un vada come vada che non è un non provarci, perchè in fondo è andata ad una bracciata dall’oro anche stavolta, ma un provarci serena.

Benedetta Pilato ha capito che servono molti “è il giorno più bello della mia vita” in più per star bene, fare un po’ meno i conti con sé stessa e lasciarsi guidare dalla gratitudine. I modelli di ipercompetitività, di vittoria oltre ogni cosa, accantoniamoli in un angolo. Una medaglia in meno nel medagliere può essere considerata una vittoria, ce lo dimostra una giovane nuotatrice italiana che ride di gioia in quella che molti chiamano sconfitta.

 

Damiano Cancedda