Milioni di italiani nei giorni scorsi si sono appassionati davanti alla tv nel seguire la nazionale di pallavolo maschile, tornata campione del mondo. Bravi tutti e in particolare il loro allenatore Ferdinando De Giorgi, per tutti Fefé, che gli altri tre mondiali del nostro invidiabile palmares li ha vinti da giocatore. Non stiamo qui a soffermarci sul valore tecnico di una vittoria eccellente.
Ma il nostro focus è su Fefé e sul suo modo di essere allenatore. In un mondo sportivo mediatico in cui si urla spesso in maniera isterica e si pensa persino alla postura perché c’è sempre una telecamera a inquadrarti, ecco emergere la saggezza di un allenatore che non ha perso le sue profonde radici (“Prima di giocare a Squinzano si spostavano i sacchi di patate contenuti dal capannone e poi si montava la rete”) ma ha chiara la sua missione con un gruppo di giovanissimi (la squadra con la media più bassa abbia mai vinto in azzurro nello sport a livello mondiale): farli crescere come uomini, oltre che giocatori. Facendo capire loro il valore della sconfitta per poi assaporare senza eccessi il gusto della vittoria.
Il sorriso è stato il leit motiv di questa squadra e della sua guida. Non un ghigno, non una risata irriverente in faccia all’avversario. Ma quel sorriso che viene dalla serenità d’animo. Quella che è diventata un punto di forza per un gruppo con poca esperienza internazionale che si è ritrovato nella bolgia di Katowice (15 mila tifosi) contro i padroni di casa bicampioni del mondo in carica e assatanati per vincere un mondiale che alla Polonia è costato oltre venti milioni di euro per organizzarlo.
E quando la sconfitta stava maturando, i polacchi hanno provato qualche sotterfugio – con interruzioni mirate del gioco – e gli azzurri sempre lì con il loro sorriso. Come aggiornamento metodologico e pedagogico, ai nostri alleducatori consigliamo di andarsi a sentire (o risentire) i time-out di De Giorgi: tono di voce sempre uguale, mai alterato, e quando la sospensione arrivava in un momento delicato solo consigli propositivi, mai rimbrotti o generici incoraggiamenti. Uno lo raccontiamo qui, a un Michieletto più volte murato è un po’ in difficoltà, De Giorgi sottolinea con calma: “Alessandro ricorda che tu hai tanti altri colpi, usali”. La forza che arriva da una serenità interiore, la risultante di un lavoro duro in palestra. Poi sul campo si vince e si può anche perdere. Senza che sia un dramma.
Ecco, negli isterismi di un calcio in cui ogni settimana assistiamo a spettacoli indecorosi di tecnici cacciati dal campo per atti davvero osceni e diseducativi, la figura di De Giorgi si staglia gigantesca nonostante la sua altezza relativa (per un tri mondiale di pallavolo) e la pancetta prominente da sessantenne. Un esempio vero per chi crede nello sport come strumento educativo. Il Panda Fefé è categoria protetta.
Maurizio Nicita
Direttore Juvenilia