Di Biagio; “Oratorio Sempre Fondamentale, Capiamo I Nostri Giovani”

Chiacchierare con Gigi Di Biagio di Testaccio, del suo Oratorio ti fa assaporare le atmosfere più belle e vere di Roma, quella cantata con passione da Antonello Venditti. Gigi è stato un ottimo centrocampista, protagonista soprattutto con Roma e Inter, oltre che in azzurro: con due Mondiali e un Europeo disputati. Poi ha iniziato ad allenare e negli ultimi anni è stato commissario tecnico delle nostre rappresentative Under 20 e 21.

 

Si ricorda la sua prima volta a Testaccio?

“Faccio fatica, perché l’Oratorio fa parte della mia vita. Ce l’avevo di fronte casa ed era naturale stare lì. I miei primi ricordi risalgono a quando avevo tre anni. Per me quello resta un luogo di gioia e di ricordi, tutti bellissimi”.

 

Persone importanti nella sua vita?

Don Gigi Maresu, che purtroppo è scomparso. Un salesiano vero erede di Don Bosco: sempre fra i ragazzi, con la chitarra e in tutti i modi possibili per stare insieme. Per educare. E poi l’allenatore di basket Nevio Ciaralli, mi affascinava la sua figura, un vero maestro di vita: ho sempre amato il basket”.

 

Poi però ha scelto il calcio.

“Fino a 12 anni ho continuato a praticare entrambi. Facendo parte delle giovanili della Lazio (esordì in A appena diciottenne, ndr) ho dovuto scegliere. Ma il basket l’ho lasciato a malincuore, continua a piacermi tantissimo”.

 

Lì lascia l’oratorio.

“No. L’ho continuato a frequentare fino a 18 anni, prima di cominciare a girare da professionista nel calcio. Del resto a Testaccio ci sono gli amici della vita, per me resta il posto più bello”.

 

Ricordi?

“Tanti e tutti belli. Non riesco a pensare a qualcosa di non positivo che mi sia accaduto fra quelle mura. Le partite a biliardino, quelle a calcio e a basket. Riuscivo a giocare anche quattro-cinque ore di fila, fino a sfinirmi. E poi il chierichetto che dovevi fare per non rischiare di non poter giocare i tornei. Ma un dovere che diventava momento di crescita in una comunità”.

 

Oggi l’Oratorio ha la stessa valenza educativa?

“Secondo me sì. E’ luogo privilegiato in cui i giovani possono essere sempre protagonisti. Sono cambiati modi e mezzi per comunicare, non i valori. E l’Oratorio rimane un posto fondamentale per la crescita, nello sport e non solo”.

 

E’ fra quelli che pensa i ragazzi di oggi siano troppo diversi?

“No, assolutamente. Le stesse cose le dicevano di noi i genitori. Quella della comprensione è un problema generazionale. Oggi hanno mezzi diversi per esprimersi, bisogna sforzarsi di conoscere il loro mondo, senza pregiudizi, e capirlo per poterli aiutare nella crescita. Io ho quattro figli, fra i 12 e i 21 anni, e cerco di supportarli nel loro cammino”.

 

Cos’è cambiato per lei dallo sport dell’oratorio a quello professionistico.

“Niente. O meglio il livello della competizione. Ma anche in Nazionale o giocando la Champions sono rimasto il ragazzino entusiasta di stare in campo e voglioso di vincere. Perché la competizione, l’agonismo è essenza nello sport, che è metafora di vita: devi dare sempre il massimo. Poi, come mi hanno insegnato la famiglia e i Salesiani, c’è il rispetto dell’altro, dell’avversario. E delle regole. Non ho mai creduto al detto di De Coubertin sulla partecipazione: tutti devono cercare di vincere. Poi esiste la sconfitta da saper accettare, lo stringere la mano ad arbitro e avversario. Il rispetto”.

 

E’ tornato all’Oratorio?

“Certo, quando vado a trovare i miei provo sempre a farci un salto. I bambini mi riconoscono, ritrovo vecchi amici. Ed è sempre festa”.

 

Maurizio Nicita