In questi anni la parola più ricorrente quando si parla di strategie di comunicazione è “engagement”, coinvolgimento. No, non è affatto facile trovare un asso nella manica per farsi notare in un’epoca in cui la nostra vita – online e offline – viene sommersa dai contenuti. Soprattutto, per raggiungere una generazione nuova, con caratteristiche diversissime persino da quella che la precede immediatamente di pochi anni, occorre conoscerla. E questo è un altro aspetto complicatissimo.
“I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta”, scriveva Antoine de Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe. E’ la realtà dei fatti: gli adulti faticano ad entrare empaticamente nei panni dei più giovani, a parlare il loro linguaggio, a comprenderne gusti ed abitudini, ad appassionarli, ad attirarli. A coinvolgerli, appunto. E, dal momento in cui le nuove leve non trovano motivi per appassionarsi ad una storia, ad un racconto, ad un film, ad un prodotto, ad uno sport perché raccontato in maniera anacronistica… da quel momento, li abbiamo persi e si interesseranno ad altro.
Non è semplice interagire con una generazione nuova, così frenetica ma così profonda e sensibile, una generazione che riesce a resistere soltanto qualche secondo davanti a contenuti con poco appeal. Non è semplice ma è fattibile. Prima di tutto, non è il caso di ostinarsi a saltare l’ostacolo se proprio non si è in grado di saltarlo. Se non riusciamo a riprodurre il loro linguaggio, a comunicare la nostra immagine ed i nostri valori in modo moderno e su canali di cui non abbiamo padronanza, non ha senso imitare grottescamente il loro mondo allontanandoli ancora di più. Il segreto è aggirare quell’ostacolo. Il segreto è ascoltare. Ascoltarli e lasciarli fare. Ancora una volta torna la nostra parola chiave: coinvolgimento.
Scrivete la vostra storia e condividetela. Cosa aspettate?
Cosa avete fatto oggi con i vostri giovani atleti? Condividete sui vostri canali di comunicazione gioie, dolori, vittorie e sconfitte, volti, traguardi tagliati e sognati. Lasciatevi affiancare da loro nella creazione e nella pubblicazione dei contenuti sui canali che sanno utilizzare meglio di voi, date loro regole ma fateli sentire partecipi della costruzione della storia del team di cui fanno parte. E, se volete utilizzare questo tipo di narrazione per attirare nuovi atleti, mostrate che nel vostro team si sentiranno al centro del palcoscenico e non semplici comparse.
Ispiratevi alle storie dei big
La squadra di football americano della NFL dei Cleveland Browns aveva alle spalle 635 giorni senza uno straccio di vittoria. La Bud Light decise allora di piazzare nei bar della città alcuni mini-frigo e di chiamarli “Victory Fridge”. Alla prima vittoria sarebbero stati aperti, ricompensando i fan più fedeli con una bibita. E la vittoria arrivò, insieme ad una bella storia da raccontare su tutti i social, in grado di attirare altri fan, follower e atleti in erba come una calamita.
Non snobbate storie come questa, storie apparentemente solo di marketing che però innescano il passaparola e sanno insegnare moltissimo su come tenere alto il morale anche nei momenti di difficoltà. Tutti sappiamo che le storie di vittorie sofferte fanno breccia. Quante ne avete affrontate? Iniziate a raccontare la vostra realtà al mondo, costruite la vostra immagine pubblica, presentate la quotidianità con il cuore, con nomi e volti, non come un banale elenco di vittorie e sconfitte.
Altro esempio interessante di coinvolgimento reale della Gen Z è quella del consulente 18enne assunto dai Minnesota Vikings per poter intercettare meglio quella fascia d’età. Insomma, se non sapete proprio come comunicare con i più giovani, se il vostro team non è ancora neanche sui social network o se se non avete mai sentito la parola Snapchat… chiedete a loro, la soluzione è davanti ai vostri occhi.
Infine, una campagna pubblicitaria da imprimere nella mente come best practice, quella della AW Lab. I prodotti legati al mondo dello sport – sneakers in testa – sono simbolo di una generazione intera. Sono uno stile di vita. Ma non basta più esporli su uno scaffale e aspettare che gli adolescenti entrino nei punti vendita. AW Lab ha soprattutto clienti con un’età dai 16 ai 21 anni, parla come loro. Li ha scelti come testimonial attraverso “AW Lab is me”, un tour itinerante con casting annesso, ha creato un talent “AW Lab is me – Music Edition”, in cui ha chiesto loro di esprimersi attraverso la musica, girando un video utilizzando un beat – una base – creata da un celebre produttore. In palio, la produzione di un vero e proprio singolo, l’inizio di una carriera. Ricapitoliamo: la loro musica e un video, vale a dire il loro linguaggio e il tipo di contenuto che fruiscono maggiormente. Risultato: 2.200 giovani partecipanti, 1.800 video caricati e 350 performance live negli store. E non è la prima volta che AW Lab sceglie questa strategia di coinvolgimento, lasciando tutto in mano alla Gen Z. Qualche anno fa, i social ambassadors della campagna internazionale sono stati ragazzi scelti attraverso 500 casting in 5 città europee. I loro volti, le loro storie, i loro sogni e i loro valori sono stati fulcro della comunicazione del brand.
Guardare per credere.
Anna Tita Gallo
Già pubblicato: L’anima Profonda Del Web 1 – Istruzioni Per L’uso