Forse dovremmo abituarci, sommessamente, a raccontarcele, le storie belle. Per usarle come antidoto contro le brutture che non di rado popolano la nostra quotidianità.
A chi, legittimamente, ha avvertito una fitta di lancinante sconforto scoprendo la vicenda della pallavolista italiana Lara Lugli messa sotto accusa dal suo club in quanto…incinta (effettivamente una colpa, nel tempo e nel tempio degli egoismi!), ecco, a chi ha provato dolore diamoglielo, il vaccino del bello.
Ecco qua. In Argentina, durante una partita del campionato di serie A di basket, Antonella Gonzalez, giocatrice del Tomas de Rocamora, ad un certo punto ha chiesto il cambio. Non era stanca. Non cercava di sottrarsi ad una marcatura troppo rigida.
Semplicemente, Antonella aveva un appuntamento irrinunciabile: doveva allattare la sua bambina di undici mesi. Sua sorella, che è il coach della squadra, non ha avuto difficoltà ad accontentarla.
In breve. Non sta scritto da nessuna parte che la pratica sportiva sia inconciliabile con la maternità. Ingenuamente, in tanti pensavamo che in materia fosse stato superato il pregiudizio.
Anche perché le cronache, addirittura da decenni!, sono piene di campionesse che hanno figli: per stare al Bel Paese, famoso è il caso di Valentina Vezzali, grande artista del fioretto, oro olimpico prima e dopo la maternità.
Quando storie come quella di Antonella e Valentina non faranno più notizia, eh, vorrà dire che l’antidoto ha funzionato.
Leo Turrini