“Vogliamo creare dei mini-atleti o dei veri sportivi?” Ricordo ancora questa domanda che pose la delegata della Danimarca al 2° Congresso Mondiale del Minivolley di qualche anno fa durante una discussione sull’organizzazione del novello sport giovanile. Ancora oggi si discute su come gestire quello che può essere considerato uno sport a tutti gli effetti. Gli atti finali di quel congresso confermarono che l’obiettivo era creare i presupposti per migliorare l’attività motoria dei bimbi dai 7 ai 12 anni a prescindere dallo sport che poi si sceglierà.
NON SOLO TOPOLINO E PALLAVOLO
La Fipav si lanciò nella gestione di tale attività reclutando Topolino ed i personaggi di Walt Disney dato che all’inizio degli Anni Ottanta il fumetto veniva letto da milioni di bimbi. Sulle ali del successo del “Gabbiano d’Argento” la responsabilità del progetto Minivolley venne data a Carmelo Pittera, lo studioso catanese che con uno staff di primordine presentò una serie di studi e video didattici che affermarono la validità di tale progetto. Siamo arrivati ai giorni nostri ed ancora il “Mini” ha momenti di alti e bassi dovuto soprattutto a problemi di impianti che pesano sulle società sportive e anche di formazione dato che gli istruttori per l’attività giovanile devono essere molto esperti considerando l’età precoce dei partecipanti. Le problematiche che si devono affrontare nel gestire i giovanissimi da 7 ai 12 anni sono molteplici. A cominciare dallo sviluppo delle capacità motorie attraverso il gioco.
MOTRICITA’
Lo sviluppo delle capacità motorie è sicuramente un problema che appassiona gli specialisti dell’educazione. Non bisogna dimenticare che in questi ultimi anni si è molto anticipato il reclutamento dei giovani e quindi gli istruttori si trovano ad avere dei giovanissimi che devono completare il percorso motorio e da qui il bisogno di specialisti in questo campo. Spesso però vediamo dei bimbi affidati a personale non esperto e così si provocano delle alterazione sotto l’aspetto psicofisico ed anche caratteriale. Nell’insegnamento del Mini attraverso il gioco si suggeriscono esercitazioni che portano i giovani a risolvere tutte quelle problematiche, tecniche e tattiche, ma soprattutto gli aspetti di relazione e gestione che derivano dal gioco dovendosi confrontare con i compagni di squadra. Abituarsi alla gestione del pallone non solo rispetto all’avversario ma in collaborazione, obbligata dal regolamento, con dei compagni di squadra costringe il giovane ad apprezzare e a rendere indispensabile questa presenza.
AGONISMO DA GESTIRE
Ma il problema più impegnativo, per chi gestisce questi giovani è l’agonismo. Negli anni 70/80 questo aspetto è stato demonizzato tale da portare una divaricazione tra le attività federali e quelle degli enti di promozione. Ma finalmente si è accettato che la spinta agonistica è un fatto imprescindibile come motivazione a partecipare.
Questa caratteristica va gestita e controllata con molta attenzione da parte dell’istruttore. Se da un lato questa qualità diventa indispensabile per stimolare l’apprendimento, dall’altra può portare ad esasperare comportamenti contrari allo sviluppo di un gioco di squadra. Soprattutto in questi ultimi anni la società civile attorno a noi ha esasperato comportamenti che soprattutto i genitori non riescono a gestire e anzi sono proprio essi ad esasperare certi atteggiamenti negativi nei propri figli.
Tornando alla domanda iniziale della delegata danese, siamo sempre più convinti che organizzare al meglio l’attività di Minivolley potrà assicurare ai nostri giovani la possibilità di crescere migliorando le capacità motorie in generale, ma di scoprire poi se il volley potrà essere, da adulto, lo sport più indicato da praticare.
Bruno Feltri