Porci questo quesito a seguito della pioggia di medaglie conquistate dal Team Italia agli ultimi Mondiali di Ginnastica Ritmica di Sofia, significa porre l’attenzione non tanto sulla maestosità della punta dell’iceberg, i risultati, quanto sulla fatica psico-fisica di ciò che c’è alle spalle.
Viviamo negli anni in cui per un ragazzo la possibilità di affidarsi ad una figura psicologica inizia ad essere non solo contemplabile, ma anche molto frequente. Lo sanno bene le nuove generazioni, che “oggi aperitivo? sì, ma alle 19 perché prima ho la terapia”.
Mentre il mondo naviga in questa direzione, la ginnastica si prende i suoi tempi e sembra rimanere del tutto inglobata dall’ondata sempre performante tanto sostenuta e incentivata dalla società di oggi. O sei perfetto, e lo diventi anche in poco tempo, o sei fuori dal giro.
Quali dati a sostegno di questo? La ginnastica di alto livello in Italia è oggi praticabile prevalentemente nei centri tecnici federali o nelle accademie, che si strutturano prevedendo una doppia sessione di allenamento giornaliero e la scuola serale. Sempre più spesso questa condizione di lavoro viene perseguita dalle società più in crescita. Perché? Per stare al passo coi migliori e potersi giocare le proprie carte ai campionati più importanti. Da quando? A partire da un’età sempre più precoce, indicativamente dal primo anno di scuola secondaria di primo grado.
Sempre più spesso si sente anche parlare di atlete che troncano la propria attività agonistica sul fiorire della propria carriera. Ma quali sono le fatiche più significative? Su tutte, la presa di contatto col proprio vissuto emotivo.
Allenarsi a livello agonistico, soprattutto in età adolescenziale, prevede uno sforzo fisico e mentale non indifferente. La crisi o calo fisiologico fa spesso paura non solo a chi lo vive in prima persona, ma anche a genitori e allenatori. Per questo motivo la tendenza è quella di giungere a drastiche decisioni, che non lasciano spazio alla crisi non solo come opportunità di crescita, ma anche come tappa assolutamente necessaria al progredire. La società di oggi sembra prendere una direzione diversa: vige l’arte del buttare il vaso rotto senza provare a ricostruirlo. Per questo, agevolare l’atleta nella presa di coscienza emotiva scaturita dagli eventi, attiva un ascolto interno fondamentale per poter suonare per tempo i più svariati campanelli d’allarme, che necessitano di essere ascoltati.
Un secondo aspetto significativo, nonché rischioso nella vita di un giovane in fase di sviluppo, è l’identificazione del proprio essere, del proprio valore, con ciò che si fa e con i risultati che si raggiungono.
L’adolescenza è quella tappa incasinata della vita dove si sgretolano le certezze acquisite nei primi anni di vita e in cui gradualmente se ne forgiano di nuove, come solide fondamenta di casa.
L’innata tendenza al perfezionismo incarnata dalla ginnastica favorisce la quantificazione del proprio valore umano, con quanto si è fatto bene l’allenamento, la gara o con quali risultati si è riusciti a raggiungere nell’ultimo anno sportivo. Valgo se faccio, altrimenti non sono niente. E se gli altri fanno, e io non ci riesco subito, forse non sono abbastanza. Il rischio di abbandonare i giovani in questa dinamica è quello di vederli fare marcia indietro e guardarsi in giro, cercando in un mondo che sforna milioni di illusorie soluzioni, tra cui ne troveranno almeno una che li farà sentire più efficaci e meno vuoti.
Prevenire questo rischio comporta un’importante assunzione di responsabilità da parte di allenatori e genitori, che prevede primariamente il rispetto delle tappe evolutive.
La precocità della ginnastica ha senza dubbio anche ripercussioni positive e funzionali sulla vita dell’atleta: favorisce la capacità di organizzarsi, di gestire i ritmi scuola-allenamento in autonomia e lo sviluppo di un’ottima intelligenza motoria. È quindi frequente che anche atlete decisamente piccole brucino le tappe in questi aspetti, portando inevitabilmente l’altro adulto a spingere sull’acceleratore ogni qualvolta lo sentono possibile in funzione del raggiungimento di obiettivi prefissati. Ciò che è importante in questo caso è un monitoraggio continuo delle condizioni psico-fisiche, utile allo staff tecnico per introdurre momenti di scarico anche non previsti ma che tutelino l’atleta non solo sul breve periodo, ma soprattutto su un arco di tempo più ampio, possibile solo se preservato il piacere della pratica sportiva, fattore imprescindibile per il raggiungimento di grandi imprese.
Cecilia Perrone
Psicologa sportive