C’è qualcosa di insolito e affascinante intorno a quel ciuffo rosso sotto il quale Jannik Sinner sta crescendo come uomo prima che atleta. Un qualcosa che mette in discussione, e ci auguriamo sia così, il nostro concetto un po’ superficiale e stereotipato di campione. Vincere lo slam in Australia è stato qualcosa di inedito per il tennis italico, ma forse ancora più sorprendente è stato l’approccio di questo 23enne con quella popolarità che avrebbe rischiato di travolgerlo, se non fosse stato saldo nei propri valori che nascono dalla famiglia. E proprio per i genitori sono state le prime parole nelle interviste “da star” post australiane. Non semplice ringraziamento, ma convinzione che quei capisaldi educativi imparati siano i presupposti del suo successo. Un percorso che non ammette discese ardite e risalite, ma sana normalità fatta di costanza nel lavoro.
Farsi ubriacare dalla popolarità sarebbe stato semplice. Rai e sponsor erano pronti a riempirlo di denaro e gloria pur di averlo ospite a San Remo. Lui invece – giustamente – ha pensato che quell’evento lo avrebbe soltanto distratto nel suo cammino di crescita umana e professionale.
Chi ama il tennis e segue Sinner sa che in questi ultimi due anni è molto migliorato tecnicamente, fisicamente e soprattutto mentalmente. È un errore parlare di lui come un predestinato: c’è una costruzione del gesto e della postura che non è arrivata per virtù divina. Ma la conseguenza di un metodo. Jannik ha migliorato il servizio. Ha fatto diventare il rovescio un colpo devastante sulle strategie avversarie. Ha reso il dritto più naturale. Ha imparato l’arte di variare l’atteggiamento in campo per far saltare le tattiche altrui. Ha un’etica del lavoro che gli consente di reggere ritmi sopra la media. Un passo alla volta, giorno dopo giorno senza mai mostrarsi come un Superman. E sempre rispettoso dell’avversario, senza mai un gesto fuori dalle righe.
Jannik non si atteggia e non cerca facili consensi. Anzi dimostra di avere idee e volerle condividere con i coetanei. A proposito di social e del loro uso/abuso ha messo in guardia i ragazzi: “perché la verità non sta lì dentro. E io vivo meglio senza, con un libro sempre dietro nei miei viaggi”. Adesso dobbiamo essere noi a dimostrare di essere alla sua altezza, crescendo in cultura sportiva, anmirando la sua eccellenza senza eccessi da calciomani. Non c’è bisogno di schiamazzi per sottolineare che “abbiamo vinto” o peggio ancora “ha perso”. Proviamo a imparare qualcosa da quell’impertinente ciuffo rosso tenuto a bada dal cappellino durante le partite.
Maurizio Nicita