Si attende che passi l’ondata di indignazione e poi tutto tornerà come prima e vissero ipocriti e contenti. Razzismo e violenza negli stadi sono problemi che esistono da tempo ma che nessuno affronta per le proprie competenze. Non ce la fanno le forze dell’ordine, che fanno sfogare così gruppi di violenti e intolleranti perché come numero di uomini non riescono a rispondere a tutte le emergenze o presunte tali. Non lo fanno i club di calcio troppo spesso conniventi, come dimostrano processi giudiziari a ogni latitudine. Non ha mai inteso farlo la politica, di qualsiasi colore, più attenta a raccogliere consensi in certe curve, piuttosto che far rispettare le regole. Le stesse istituzioni sportive non riescono a partorire una normativa efficace né come prevenzione, né come lotta a questi fenomeni.
Poi ogni tanto ci scappa il morto e allora bisogna indignarsi, magari cercando di scaricare su altri le responsabilità. Ma finisce tutto nel giro di qualche giorno, appena sui mass media irromperà la nuova emergenza.
Al di là di leggi, repressione e provvedimenti, però, ognuno di noi può fare molto. Perché violenza e intolleranza sono purtroppo cresciuti in Italia negli ultimi anni e noi operatori sportivi dobbiamo batterci ogni giorno a far rispettare valori e regole, nello sport come nella vita.
Sinceramente più dei fatti di Santo Stefano a Milano, colpisce che una squadra di ragazzini del club più potente d’Italia intoni cori razzisti contro gli avversari da divulgare online, senza che dirigenti, tecnici e genitori siano riusciti a prevenire alcunché di quel comportamento.
Bisogna ripartire dalla semplicità di un gesto di rispetto per l’avversario che non è nemico. Accettazione della diversità, del risultato, della sconfitta. Si può essere rivoluzionari con semplicità, senza bisogno di urlare. Si deve essere portatori sani di valori, promuovendo modelli e abbattendo steccati. Insieme si può. Questo è l’augurio di buon anno.
Maurizio Nicita